“Caffè nero a Hammersmith”, l’importanza di guardare il proprio passato con serenità

Il secondo romanzo di Gabriele Lucci, direttore artistico e scrittore

“Gabriele Lucci racconta il bisogno di far pace con le proprie radici,
attraverso un ironico bilancio generazionale ricco di suspense” (Paolo Mieli)

di Goffredo Palmerini

Foto: Gabriele Lucci e Paolo Mieli alla presentazione del libro

Pubblicato in novembre 2022 e presentato il 2 dicembre scorso a Roma, presso la magnifica Libreria Eli, il romanzo Caffè nero a Hammersmith (ed. L’Atalante) è la seconda incursione nella narrativa di Gabriele Lucci, fecondo saggista e insigne direttore artistico in campo cinematografico. Un magnifico evento, quello della presentazione del volume, in una delle più suggestive librerie della capitale, dove il profumo dei libri si coniuga con il sottile piacere degli incontri culturali, come quello vissuto appunto il 2 dicembre quando è stata svelata, la novità di questo secondo romanzo di Lucci, attraverso l’intrigante conversazione con l’Autore dello storico Paolo Mieli, una delle penne più prestigiose del giornalismo italiano, già direttore della Stampa e del Corriere della Sera.

Numerose le presenze all’incontro di presentazione, specie dal mondo della settima arte. Notevoli e interessanti le annotazioni sull’opera emerse dalla conversazione, stimolata dalle puntuali domande di Mieli all’autore. D’altronde Paolo Mieli non ha fatto mistero del suo apprezzamento per l’opera, con un giudizio assai lusinghiero affidato alla terza di copertina. “Un grande romanzo di piacevole lettura – annota Paolo Mieli e un concentrato di personaggi unici. Gabriele Lucci racconta il bisogno di far pace con le proprie radici, attraverso un ironico bilancio generazionale ricco di suspense. Riapre le ferite della protagonista e del rapporto irrisolto con il padre con il quale è costretta a confrontarsi, dimostrando l’importanza di fare i conti con il passato.” D’altronde non poteva difettare in Lucci, per la straordinaria sua confidenza e cultura in campo cinematografico, il giusto armamentario per tenere il lettore incollato alle pagine del romanzo, in una storia intricata di personaggi singolari e di varia umanità, in un ricco caleidoscopio di vicende umane, in una congerie di situazioni psicologiche, con una narrazione che non lascia vuoti, tanti sono gli intrecci nelle relazioni costruiti con un sapiente ed ampio ventaglio dialogico.

Insomma, “Caffè nero a Hammersmith” è un libro che si legge tutto d’un fiato, portando il lettore fino all’acme della storia, quando tutto si risolve nella maniera più imprevedibile, quando la suspense cinematografica s’acuisce nel colpo di teatro. Creatività e indiscutibile talento dell’Autore, entrambi fortemente vivi in Gabriele Lucci che alla profonda conoscenza delle tecniche narrative della settima arte assomma anche un’evidente propensione drammaturgica, peraltro già felicemente sperimentata.

Non resta, dunque, che lasciare ai potenziali lettori il gusto di leggere il romanzo, senza richiami di dettaglio alla storia che vi è narrata, ma solo rinviando alla valutazione che sull’opera rilascia il critico prof. Angelo Moscariello nella recensione che segue queste modeste mie note di lettura. Riguardo le tecniche narrative apparirà tutto più chiaro scorrendo le annotazioni biografiche sull’autore.  

La recensione del critico, Prof. Angelo Moscariello

Un romanzo quello di Gabriele Lucci che ti aggancia fin dalle prime righe e non ti molla sino alla conclusione, un romanzo che si legge, o meglio si guarda, in uno stato di ipnosi da una sequenza all’altra lungo la  linea di un realismo fantastico dove si alternano dolorose memorie del passato e aperture oniriche verso il futuro (nel caso della protagonista Paola che cerca di riavere in affidamento la figlioletta) e di sdoppiamenti identitari (nel caso del poliziotto Ranieri che si crea un doppio narrativo nei suoi romanzi con protagonista il suo alter ego Chuck Harris, un agente alla James Bond), con sullo sfondo la presenza incombente di un uomo che persegue un suo scopo inconfessabile (Corrado il padre di Paola uscito di galera che ora si serve della figlia per recuperare il bottino di una rapina fatta anni prima).

La struttura di Caffè nero a Hammersmith è quella di un progettato road movie dal sud al nord della penisola che alimenta una crescente suspense senza mai tradire il verosimile quotidiano nella descrizione degli ambienti della costa adriatica (con tocchi figurativi simili a quadri di Hopper) e nei ritratti dei protagonisti, una transustanziazione del cinema in letteratura (quel cinema tanto amato dall’autore) dove dialoghi e azione procedono con ritmo veloce e finezza di dettagli.

Un percorso nello spazio che si risolve in un falso movimento o meglio in vortice che risucchia tutti in un locale di San Benedetto del Tronto chiamato La Rosa dei Venti dove si ritrovano i vecchi amici e forse complici di Corrado e li restituisce come “soggetti smarriti” (come si intitola uno dei capitoli cruciali del libro).

La sorpresa è che nel finale l’azione si riavvia fino a una scena sotto la pioggia da action-movie dopo la quale in un gioco di dare e avere i protagonisti si ritrovano conciliati con il loro passato. La cosa certa è che Lucci possiede il gusto del racconto e lo esprima in una forma matura e controllata (con momenti che a volte ricordano le dissolvenze scritturali incrociate dell’argentino Julio Cortazar), senza mai ricorrere agli stereotipi dei generi di largo consumo da lui evocati e con un mood del tutto personale non privo di una deliziosa sottile ironia che procede tra slittamenti e inversioni fino all’ultimo respiro.

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